Nella lunga rassegna dedicata alle ricette dei dolci abruzzesi, abbiamo scritto di ferratelle, celli pieni, bocconotti, sfogliatella di Lama dei Peligni, totere casolane, calcionetti, parrozzo, e altro ancora. All’appello mancava soltanto lei (o quasi), la nevola di Ortona: una friabile cialda arrotolata a forma di cono realizzata con il mosto cotto e che esclude categoricamente dalla sua lista ingredienti uova e zucchero.
Attenzione poi a non confondere la nevola con la neola, c’è il rischio di fare insorgere l’intera città di Ortona; infatti da queste parti la neola è la classica pizzella abruzzese, la versione morbida per intenderci, ottenuta soltanto con uova, farina e zucchero.
La nevola, con una bella “v” piazzata in mezzo a “ne()ola”, invece, presenta caratteristiche organolettiche e storia a sé. Tutto comincia a Ortona, borgo di mare, noto anche per le sue spiagge mozzafiato, il vino, il cammino dell’Apostolo Tommaso e la musica di Francesco Paolo Tosti.
Secondo la tradizione orale, la storia della nevola risalirebbe al XIII-XIV secolo e la sua “maternità” sarebbe da attribuire a un gruppo di suore del posto che diedero forma e sostanza a questo dolce utilizzando il “ferro” delle ostie.
Diverse fonti scritte, invece, confermano la presenza della nevola nel XVI secolo; se ne ha prova in diversi documenti; è degno di nota quello del Vescovo di Lanciano che, intorno alla fine del 1500, arriva a bandire la preparazione della rinomata cialda conica perché, a suo dire, evocava una forma fallica.
A raccontarmi delle nevole sono Domenico Iubatti, il presidente dell’Associazione “Amici della Nevola” (associazione nata otto anni fa con lo scopo di tutelare la ricetta tradizionale della nevola e promuoverla attraverso una serie di eventi sul territorio) e la signora Annamaria Di Lorenzo, che mi accoglie nella sua cucina per “illustrarmi” la ricetta delle nevole in ogni singolo passaggio.
Cominciamo dagli “attrezzi del mestiere” ovvero i famosi “ferri” per realizzare le nevole. Annamaria ne sfoggia orgogliosa tre: quello più antico, ferro battuto “made in” Guardiagrele, è un vero e proprio cimelio di famiglia, vanta oltre settant’anni e ha un peso considerevole; poi c’è una versione più minuta, figlia degli anni ’80, e un ultimo modello più contemporaneo.
Si tratta di “ferri a pressa” rotondi (due placche unite con una cerniera e un tempo forgiate con l’incisione dello stemma del casato o le iniziali del proprietario) fondamentali per la buona riuscita della “nevola”, “ferri” diversi, per forma, da quelli utilizzati per le ferratele, solitamente rettangolari e leggermente più piatti.
L’origine della nevola, a differenza del più blasonato bocconotto di Castel Frentano, sembra essere “popolare”; a dircelo sarebbero gli stessi ingredienti, meno esotici (fatta eccezione per anice e cannella) e più accessibili: mosto cotto, farina, olio extravergine d’oliva e scorza di arancia.
Il mosto cotto, realizzato con l’uva pergolone (vitigno pregiato risalente al XIII sec.) è un nettare dolce che si ottiene facendo bollire a lungo, a fuoco lento e tradizionalmente in paioli di rame, il mosto d’uva. Un tempo rappresentava un “dolcificante” che, soprattutto per i più poveri, sostituiva il più raro e costoso zucchero.
Il grano, e in special modo la varietà Senatore Cappelli, di certo non scarseggiava da queste parti, così come l’ulivo che, insieme alla vigna, da sempre domina il paesaggio abruzzese.
L’arancia era quella selvatica, conosciuta come cetrangolo: una varietà amara e diffusa sulla costa dei trabocchi sin dal XVII secolo.
Riguardo l’anice, Domenico mi racconta che è un ingrediente più “recente” (così come la cannella), aggiunto per rievocare il sapore che il “finocchiastro” (finocchio selvatico), un tempo usato per mescolare il mosto cotto, conferiva a quest’ultimo.
Ora spazio alla ricetta!
Ingredienti per circa 60 nevole:
- 500 ml di mosto cotto di uva pergolone
- 250 ml di olio extravergine d’oliva
- 1/2 bicchiere di acqua
- 1 kg circa di farina ‘00 (o comunque q.b per l’impasto)
- 1 arancia, la scorza
- anice q.b per aromatizzare
- cannella q.b. per aromatizzare
In un pentolino uniamo al mosto cotto, l’olio extravergine d’oliva e mezzo bicchiere d’acqua. Portiamo ad ebollizione e andiamo ad incorporare il tutto alla farina.
Quindi aggiungiamo la scorza d’arancia, l’anice e la cannella.
Iniziamo a lavorare l’impasto aiutandoci con una forchetta e poi cominciamo ad amalgamare il composto con le mani aggiungendo, se necessario, altra farina.
Lasciamo riposare l’impasto per qualche minuto, dopodiché cominciamo a formare con la pasta dalle palline omogenee di circa 2-3 cm di diametro.
A questo punto andiamo a disporre al centro del ferro, precedentemente riscaldato, una pallina di pasta, chiudiamo e lasciamo cuocere per circa trenta secondi su un lato, e poi sull’altro.
Come per le ferratelle, tradizione vuole che le tempistiche di cottura siano le stesse per recitare un “Ave Maria” da un lato e un “Pater Nostro” dall’altro.
Prima di aprire il ferro, pressiamo appena e lasciamo che la nevola si gonfi, la togliamo dal fuoco e andiamo a comprimerla per far uscire l’aria, quindi la apriamo in due e arrotoliamo la cialda ottenuta fino ad ottenere un cono.
La nevola, già dal primo assaggio, sprigionerà al palato la sua friabilità e tutta la fragranza del mosto cotto, un intermezzo di arancia e cannella di sottofondo e una vivace punta di anice.
I puristi del genere, come mi conferma Domenico, apprezzeranno la nevola vuota, senza farcitura di alcun genere, accompagnata da un bicchiere di vino cotto; per i mancati talebani, spazio a crema pasticcera, confettura o ricotta, mentre i più audaci potranno azzardare persino un’imbottitura di crema alla nocciola!
[Crediti | Immagini di Carmelita Cianci]